Swan

  • 2023
  • di Gaetano Palermo
  • con Rita di Leo
  • sound design Luca Gallio
  • prosthetics Crea Fx
  • produzione La Biennale di Venezia
  • 40’

Swan è una performance che si ispira all’assolo La morte del cigno che Michel Fokine coreografò per Anna Pavlova nel 1901. Da questo prende le mosse un lavoro che oltrepassa le tradizionali definizioni di danza e di teatro e che utilizza la pratica sportiva mettendola a tema sul piano formale e concettuale. La scena è una scena qualunque: una giovane ragazza sui pattini si allena ascoltando della musica in cuffia. Come rinchiusa in una bolla, si libra con trasporto e ostinazione in traiettorie ellittiche ritornanti. Il solipsismo che le compete è quello paradossale dell’esercizio sportivo, dell’intimità esibita del rapporto con il proprio corpo, le proprie possibilità e i propri limiti. Esistenza come insistenza: l’azione si reitera in figure sempre più ardite divenendo prova di resistenza, al contempo fisica ed esistenziale. Il soggetto è la caduta, la ferita, lo strappo muscolare di un’umanità in fuga da sé stessa, che ruota narcisisticamente in bilico sul proprio asse in cerca di uno spettro di identità e affermazione. Swan è infatti il ritratto della vita in tutta la tragica banalità di una coazione a ripetere. Il baluginio di una natura morta sempre sorgente, dell’esistenza come esercizio grottesco di morte, al di là di ogni salvazione. Allo spettatore non resta che provare a scorgere l’ultimo respiro, il proprio.

Swan è una performance che si ispira all’assolo La morte del cigno che Michel Fokine coreografò per Anna Pavlova nel 1901. Da questo prende le mosse un lavoro che oltrepassa le tradizionali definizioni di danza e di teatro e che utilizza la pratica sportiva mettendola a tema sul piano formale e concettuale. La scena è una scena qualunque: una giovane ragazza sui pattini si allena ascoltando della musica in cuffia. Come rinchiusa in una bolla, si libra con trasporto e ostinazione in traiettorie ellittiche ritornanti. Il solipsismo che le compete è quello paradossale dell’esercizio sportivo, dell’intimità esibita del rapporto con il proprio corpo, le proprie possibilità e i propri limiti. Esistenza come insistenza: l’azione si reitera in figure sempre più ardite divenendo prova di resistenza, al contempo fisica ed esistenziale. Il soggetto è la caduta, la ferita, lo strappo muscolare di un’umanità in fuga da sé stessa, che ruota narcisisticamente in bilico sul proprio asse in cerca di uno spettro di identità e affermazione. Swan è infatti il ritratto della vita in tutta la tragica banalità di una coazione a ripetere. Il baluginio di una natura morta sempre sorgente, dell’esistenza come esercizio grottesco di morte, al di là di ogni salvazione. Allo spettatore non resta che provare a scorgere l’ultimo respiro, il proprio.